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Archivio Film

 

 Film in sala

 

 

MOVIES AND STARS

 

a cura di Fabio Anfossi

 

 

 

 

Cult Movie

 

 

 

 

Tempi moderni

 

 

 

 

 

 

Titolo originale: Modern Times
Paese: Usa
Lingua originale: Inglese
Anno: 1936
Durata: 87 minuti
Colore: Bianco/Nero
Audio: Muto - Sonoro
Genere: Commedia, Sentimentale
Regia: Charlie Chaplin
Sceneggiatura: Charlie Chaplin
Musica: Charlie Chaplin
Soggetto: Charlie Chaplin
Montaggio: Charlie Chaplin
Fotografia: Roland Totheroh, Ira Morgan

Attori:


Charlie Chaplin: l’operaio
Paulette Goddard: la monella
Stanley J. Saford: Big Bill
Henry Bergman: proprietario del ristorante

 

 

 


 

Trama

 

 

Catena di montaggio. Uno sventurato operaio meccanico(Charlie Chaplin) è costretto a lavorare con ritmi pressanti e brutali. Charlot può prender fiato solamente durante una breve ma intensa pausa pranzo, suo unico momento di pausa da quella snervante monotonia lavorativa. Il suo piccolo momento di relax viene alterato quando viene scelto per la sperimentazione di una macchina che avrebbe permesso agli operai di mangiare continuando a lavorare. L’esperimento fallisce con esiti quasi disastrosi. Il lavoro riprende e dopo ore di “tortura” e di movimenti altamente stereotipati nell’avvitare bulloni, Charlot arriva all’esaurimento nervoso tanto da scatenarlo e trasformalo in una scheggia impazzita. Unica possibilità per risolvere la situazione è trascinarlo in una clinica per curarlo. Tempo dopo, uscito dall’ospedale, riprendono le sfortune: in men che non si dica si ritrova a marciare con una schiera di scioperanti e viene scambiato dalla polizia per un pericoloso manifestante reazionario. Meta nuova: penitenziario. Qui, casualmente, sventa una rivolta di carcerati e l’operaio si guadagna la libertà. La crisi economica imperversa e la città ne risente gli effetti: una monella(Paulette Goddard) si riduce a rubare per procacciare cibo per sé e per i poveri ragazzini quel quartiere. Rimasta senza famiglia, la giovane ragazza mentre sta rubando un filone di pane viene acciuffata dalla polizia. In quel mentre Charlot si imbatte nella folla che assiste alla scena e, folgorato dalla bellezza della ragazza, si assume la responsabilità del furto per salvarla dalla galera. Ancora una volta, tira e molla finché la coppia si ritrova sul furgone della polizia in viaggio verso il penitenziario. Fortuna vuole che il veicolo si ribalta e i personaggi se la danno a gambe. La notte però è lunga, e il morso della fame si fa sentire. L’ex operaio ora deve trovare un nuovo lavoro per mangiare e un posto dove entrambi possano dormire. Ecco l’occasione: viene assunto come guardia notturna di un centro commerciale. Approfittano dell’enorme locale vuoto durante la notte Charlot e la monella si riposeranno in tutta tranquillità. Dove c’è Charlot però ci sono guai e in seguito a scapestrate vicissitudini e peripezie varie il protagonista perde questo lavoro ed altri e si guadagna più volte la galera. Un bel giorno ritrova la giovane di cui tanto si è innamorato che gli offre un posto lavoro in un ristorante dove lei è cameriera. Inizialmente Charlot è in prova ed oltre a servire ai tavoli deve intrattenere il pubblico improvvisando un comico e buffo spettacolo canoro inventandosi il testo della canzone. La sua innata comicità gli porta successo. Sembra tutto rose e fiori ma la polizia ci mette lo zampino; due agenti, riconoscono la monella, come ricercata e per l’ennesima volta la coppia si dà alla fuga. Charlot e la ragazza si ritrovano infine lungo una strada deserta, lei disperata si ferma a piangere ma lui, nella tragicità, le asciuga le lacrime, le sorride e la invoglia a continuare la lunga camminata alla ricerca della felicità mano nella mano.

 

 

Critica

 

 

Dietro ad un grande film, talvolta, c’è un unico grande uomo. Come in molte pellicole precedenti, Chaplin si impone come attore protagonista, regista, sceneggiatore, produttore e addirittura compositore. La sua impeccabile professionalità si riscontra in una polivalenza per le sue più disparate capacità artistiche: danzatore, pagliaccio, acrobata, comico e cantante. Un factotum del piccolo e grande schermo, un campione del muto, una macchietta circense, un artista con la A maiuscola in tutto e per tutto. E’ doveroso ricordare che a causa di una infanzia difficile ha dovuto apprendere tutto ciò per sopravvivere, facendo l’artista da strada,motivato dal solo desiderio di fare dell’arte. Il cinema d’oggi non conosce questa devozione, semplicità e limpidezza. Ma l’uomo Chaplin, come si è ispirato per produrre e mettere in cantiere Tempi moderni? Dopo il crollo della borsa del 1929 e la grande crisi economica che ne seguì, prima ancora che il New Deal di Roosevelt iniziasse a dare i suoi frutti, una feroce recessione incalzava e così anche una dilagante disoccupazione, situazione che durò per anni. Così Chaplin partì per un lungo viaggio di 18 mesi in Europa per meglio documentarsi su quella realtà in cui, per strada, ovunque, ci si imbatteva: malcontento generalizzato, miseria, nazionalismo montante, e fame. Volontà del regista è rendercene omaggio. Stimolante è il contenuto del film: ragioniamoci su. Il tema portante è la critica nei confronti di una tecnologia perfida ed opprimente per l’uomo, che pur nascendo come un tentativo di benessere per la collettività, si tramuta inesorabilmente in una meccanica forma di schiavismo che schiaccia il popolo, lo aggioga, lo affama, seviziandolo con disumani ritmi lavorativi all’insegna di un avido e meschino lucro. La catena di montaggio mette le catene ai polsi. Si osserva una spasmodica violenza sociale per la sopravvivenza, che infine conduce all’agonia. Ricorda, se vogliamo, parafrasando Primo Levi, “Arbeit Macht Frei” “il lavoro rende liberi”. Ricordiamoci che, comunque, l’intera trama gira attorno alla figura di Charlot, e pertanto lo spettacolo non può risultare che una sua nuova scalmanata performance più che una mesta ed angosciante rappresentazione neorealista. Ed è così che si alternano pennellate di drammaticità e di comicità, amalgamate assieme, strappandoci, ogni minuto, un amaro sorriso, una risata a labbra strette che ci fa mordere la lingua. Scena molto indicativa è quella in cui il protagonista, sconvolto dai ritmi lavorativi, perde la ragione e il controllo dei propri movimenti, fino ad essere letteralmente ingollato dai macchinari che metaforicamente lo “masticano” rollandolo ed imprigionandolo tra gli ingranaggi. Quale singolare immagine si genera nel figurare il rapporto conflittuale tra uomo e tecnologia, in una tragicomica danza e pittoresca pantomima tra leve, pulsanti e bulloni. Il protagonista, dunque, rivive, seppur esasperando con una vena di sagace umorismo, quella che rappresentava la vita effettiva di milioni di persone. Chaplin stesso disse, commentando il suo film in maniera più che esaustiva “La disoccupazione è il problema cruciale…La tecnica dovrebbe aiutare l’umanità e non condurla alla tragedia”.Come dargli torto. La critica nei confronti della pellicola, a quei tempi, fu alquanto dura, travisando il messaggio dell’artista che, tiepidamente, passatemi il gioco di parole, in un film muto voleva dar voce a quell’immenso e disperato ceto sociale. Questa sua rappresentazione, di certo non arida di critiche e congetture nei confronti della classe dirigente e benestante, fu in un certo qual modo confusa o travisata malignamente accostandola alla teoria marxista, con la quale certamente condivide i concetti di base suddetti ed esalta l’alienazione dell’uomo a causa del lavoro, ma senza aver nulla da spartire con la dottrina comunista(lontana dal pensiero del personaggio) e senza mai inculcare ideologia politica alcuna nello spettatore. A tutta questa negatività c’è una soluzione: l’amore. Charlot innamorandosi della “monella” placa tutte le sue ansietà e si riappacifica con se stesso; il lavoro, la disoccupazione, la prepotenza dello stato nulla possono contro l’affetto per chi si ama. Chaplin, dopo tanta sventura, individua la purezza che può celarsi nella semplicità e tenerezza tra uno scapestrato nullatenente e una giovane disadattata. Rimarchevole la scena finale in cui lei, disperata ed affranta, si abbandona alla disperazione, mentre Charlot la incoraggia a prenderlo per man e proseguire nel lungo cammino della vita. Tempi Moderni è uno spartiacque nella filmografia di Chaplin, poiché è l’ultimo film in cui l’attore interpreta il personaggio di Charlot, il vagabondo, che lo ha reso famoso. Altra caratteristica essenziale è la totale mancanza di dialoghi parlati, per ostinata volontà di Chaplin di non abbracciare ancora il sonoro, che era nato nella metà degli anni ’20 ed ora stava fiorendo e spopolando; tuttavia Chaplin, si può dire, scende ad un compromesso, girando ancora un film muto, nel suo stile, ma utilizzando una colonna sonora sincronizzata, come nel suo successo precedente Luci della città(1931), e inserendo un sonoro rumoroso in grado di ricostruire meglio l’ambientazione. Doveroso menzionare che, dopo più di vent’anni di suoi successi, il pubblico può udire per la prima volta la voce del protagonista nella sua briosa e solleticante canzone “Nonsense song” o “Smile” o da noi più conosciuta come la “Titina”, il cui testo, francese, spagnolo ed italiano, sullo stile del Grammelot scherza con storpiature ed improvvisazioni. E’ divenuta l’emblema della pellicola oltre che la più riuscita e caratteristica canzone di sua creazione. Ebbene sì, la colonna sonora è stata scritta di pugno interamente dallo stesso Chaplin e poi diretta dal grande Alfred Newman. Per quanto concerne il rimanente cast, non si hanno nomi di gran spessore, ma notiamo che gran parte delle comparse e degli attori secondari non siano nuovi nella produzione chapliniana. Discorso diverso vale per Paulette Goddard, che con un certo savoir-faire accompagna per la prima volta il partner e se ne invaghisce realmente, tanto che diventerà la terza moglie di Chaplin. Come per molte altre grandi menti della Storia, l’acume di Chaplin e la qualità del suo operato sono rimasti nel limbo per decenni per poi sbocciare come un grande classico della storia cinematografica mondiale. Dopo questa forte e dura critica sullo stacanovismo oppressivo, rammarica pensare che dopo quasi un secolo dalla produzione del film, molto è cambiato, ma in fondo non abbastanza. Il messaggio finale di speranza, è un chiaro monito, valido tuttora: dopo disgrazie ed avversità, si asciugano le lacrime e si riprende la marcia, a testa alta, sorridendo e, perché no, come Charlot, fischiettando.

 

 

 

 


Colonna sonora

 

Track consigliata: “Nonsense song”
 


Frase da ricordare
 

“Tempi Moderni, una storia di industria, iniziativa individuale,

 e di umanità che si batte alla ricerca della felicità” Frase di apertura del film.

 

 

 

 

 

 

Fabio Anfossi


E’ nato ad Alessandria nel 1989. Cancro con Ascendente Cancro. Dopo la maturità classica ha intrapreso studi di medicina e chirurgia presso l’Università di Parma. Nel tempo libero studia e approfondisce argomenti pertinenti il cinema, le colonne sonore e la storia militare.

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